Mercoledi, 24 aprile 2024 - ORE:06:26

Vecchi trucchi per un nuovo film: Baz Luhrmann si ripete ma DiCaprio è un grande Gatsby!


Baz Luhrmann

Il Grande Gatsby: un film con effetti straordinari ma con poco incanto

In nove anni Baz Luhrmann ha creato un lavoro dalla regia imponente e dalle scenografie sfarzose: 105milioni di euro stimati per vestire il cast con costumi eccezionali, ricoprirli di gioielli di Tiffany  e farli ballare al ritmo del jazz, ma senza nessuna idea veramente nuova. Il risultato è un caleidoscopio di 147minuti di musica e colori, macchine che sfrecciano, alcool a fiumi, spari, fuochi d’artificio, un vero e proprio “parco divertimenti”, per usare le parole di Fitzgerald, che però manca di originalità e che alla fine lascia più storditi che incantati, non riuscendo a coinvolgere completamente lo spettatore, come dimostra il gelo con cui è stato accolto a Cannes.

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Che fosse un Gatsby in salsa Moulin Rouge –  tutto un gran svolazzare di piume, lustrini, paillettes –  era prevedibile, vista l’eccentrica cifra stilistica di Luhrmann, ma addirittura voler citare se stessi, ricopiandone l’intero impianto narrativo, è stata una caduta di stile: la voce narrante della storia, Nick Carraway (Tobey McGuire),  rinchiuso in un sanatorio racconta al baffuto psicologo la storia di sbronze, jazz e depravazione morale che l’ha condotto fin lì, e macchina da scrivere alla mano, flashback dopo flashback, finisce per scrivere ‘il grande romanzo americano’.

Ma mentre Moulin Rouge era – e resta, a dodici anni di distanza – all’avanguardia, esaltante ai limiti del kitsch, l’impressione che da questo film invece è di essere una versione illustrata a tinte brillanti delle parole di Fitzgerald, che infatti di tanto in tanto appaiono fluttuanti sullo schermo.

Una storia sullo sfondo di lusso sfrenato

Attraverso gli occhi – e i ricordi – di Nick veniamo catapultati nella New York, frenetica e sfrenata, della calda estate del ’22, quando Wall Street era in piena ascesa e tutti correvano da una festa all’altra, passando soprattutto per quelle di Gatsby, misterioso miliardario di West Egg, la cui villa in stile gotico ammicca alla Xandalu di Citizen Kane, un caravanserraglio straripante di ogni lusso completamente privo di calore umano.

Ma chi è questo Gatsby veramente?

Con una scelta di regia molto intelligente, per tutta la prima parte del film  il vero protagonista resta ai margini della scena, inquadrato solo di spalle, avvolto nel mistero: c’è chi dice che sia un assassino, chi il cugino del Kaiser Guglielmo, tutti si chiedono da dove venga ma fra una bizzarra teoria e l’altra tornano a brindare e a scatenarsi, nelle iperboliche scene di feste che tanto piacciono a Luhrmann, in cui evoca con scene quasi da videoclip l’atmosfera di dissolutezza ed euforia dei roaming twenties.

Finalmente, alla mezz’ora buona del film, sulle note di Rapsodia in Blu fa il suo ingresso in scena Gatsby, alzando un  nel tripudio dei fuochi d’artificio – giusto per sottolineare che è proprio lui, l’uomo che tutti stavamo aspettando: splendido, elegantissimo, carismatico, DiCaprio conquista tutti con il sorriso magnetico di Jay Gatsby, il parvenu dai grandi ideali che cerca disperatamente di entrare in un mondo cinico e spregiudicato, quello dell’upper-class newyorkese, che lui crede di aver capito ma che invece finisce per distruggerlo, in un finale che cita platealmente la leggendaria inquadratura subacquea di Viale Del Tramonto, con i fotografi a bordo piscina.

Un film a due facce

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Da questo momento in poi il film cambia impercettibilmente registro, passando dai festeggiamenti al dramma: si comincia a scavare nei personaggi, a dipanare i fili, diminuisce l’effetto centrifuga di sequenze rapidissime e il ritmo che aveva dato mordente alla prima parte rallenta, anche troppo, appesantito dalla voice over fitzgeraldiana che toglie incisività anche alle scene più drammatiche .

Il rap di Jay- Z lascia il posto alla voce struggente di Lana Del Rey  e poco a poco si svela, agli occhi di Nick e dello spettatore, il sogno di riscatto che ha portato James Gatz, figlio di contadini, a reinventarsi in Jay Gatsby, affascinante multimiliardario: l’amore perduto per Daisy (Carey Mulligan, che fa la sua angelica apparizione fra veli, perle e brillanti) la golden girl ormai sposata al rude Buchanan (un Joel Edgerton forse un filino troppo rude) che nel frattempo si diverte a far baldoria con Myrtle, un’irriconoscibile Isla Fisher che smessi i panni della compratrice compulsiva (vi ricordate I Love Shopping?) da una bella prova di sé, come del resto tutto il cast, anche se Tobey McGuire, nel ruolo del protagonista, in realtà non offre nulla di nuovo rispetto al personaggio del bravo e buono (vedi Spiderman).

Tu da solo vali più di loro messi insieme Dice Nick a Gatsby, e parafrasando, anche a Leonardo Di Caprio: è lui infatti a vincere la scommessa del film per la grandezza e la drammaticità con cui rende il suo personaggio, che in una giungla di corruzione e avidità mantiene un ottimismo corroborante e un’incrollabile fede nel sogno tutto americano di elevazione e riscatto sociale.

Il Blues fa da colonna portante al sound del film

Punto di forza straordinario, la colonna sonora del film: da GerschwinJay-Z passando per tutto ciò che c’è stato in mezzo, il pop, il rock, tutto riletto in chiave blues, come ci si aspetta dall’uomo che ha fatto ballare il tango ai Police: Jack White ricanta gli U2(Love is Blindness), Emili Sandè ricanta Beyonce (Crazy in Love) che a sua volta ricanta Amy Winehouse (Back To Black) e poi ancora Florence and The Machine, Fergie, The XX, tutti i nomi più forti degli ultimi due o tre anni, sconosciuti ai maggiori di venticinque anni.

GatsbySulla scia dell’ideale del romanzo di Fitzgerald

Fitzgerald era attratto da tutto ciò che era nuovo, moderno, visionario, abbiamo voluto ricostruirlo in un’ottica contemporanea” Ha dichiarato il regista, ma in realtà non c’è nulla di particolarmente visionario, nessun colpo di genio per il suo adattamento – il quarto- del romanzo di Fitzgerald: non mancano comunque i momenti di grande regia, Luhrmann ha uno sguardo molto penetrante sulla New York dalla doppia morale, euforica e proibizionista, resa attraverso interessanti inserti documentari e tuffi vertiginosi della camera nel traffico, nei vicoli dei club segreti, nelle squallide periferie dove gli occhi di un cartellone pubblicitario tutto vedono – e tanto ricordano la leggendaria copertina blu della prima edizione del romanzo.

Peccato solo che con i mezzi a sua disposizione e un cast così brillante non abbia potuto fare nulla di più che questa scoppiettante, luccicante festa per gli occhi perfetta per lo stesso pubblico, invecchiato ma non cresciuto, di Romeo +Juliet : ça va sans dire, è già boom di incassi.



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