Mercoledi, 24 aprile 2024 - ORE:12:27

Recensione: In Time, un film di Andrew Niccol

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Nel mondo di Will Salas, uomini e donne vivono per guadagnare tempo; raggiunti i venticinque anni il loro orologio biologico si ferma mentre scatta quello sul loro polso: avranno un bonus extra di un anno per guadagnare tempo e non raggiungere mai lo zero.

Al giovane Will Salas (Justin Timberlake) viene regalato più di un secolo di vita da un ricco prima di suicidarsi; sua madre invece muore perché egli arriva in ritardo per ricaricare il suo orologio. Distrutto dal dolore, viene inseguito da un agente del tempo (Cillian Murphy) che lo sospetta di aver rubato “il secolo”, Will decide cambiare l’ordine della società in cui vive, e regalare più tempo ai così detti “poveri”. Will riesce a sconvolgere l’ ordine in cui viveva insieme alla bellissima Silvia Weis (Amanda Seyfred), figlia di un grande magnate e imprenditore del tempo.

In uno scenario surreale Andrew Niccol disegna un mondo dove millenari e poveracci “dell’ultimo minuto” tentano di guadagnere il tempo che è la moneta che permettere di sopravvivere.

Il tempo diventa denaro. Il film riesce a creare una immedesimazione tra spettatore e attore riguardo la precarietà della vita ma questa va ad esaurirsi quando il film diventa essenzialmente un film d’azione allo stato puro. Così non si intuisce quanto questo film voglia essere una critica della società reale o quanto semplicemente punti sul binomio fantascienza – attori. Ci piace pensare che il messaggio sia diretto verso un umanità che resista al capitale economico e possa rivendicare una sua autonomia morale e politica in favore della giustizia sociale.

Cillian Murphy, in una brillante interpretazione, sembra proseguire la sua svolta che lo fa passare dallo psicopatico (Batman Begins, Red Eye) a ruoli più impegnati (Il vento che accarezza l’ erba). E’ il fattore di esperienza che lega bene un film che, per essere un film di fantascienza, risulta povero nelle scenografie e nei colpi di scena. A deludere è il personaggio e non certo lui: nel finale ci sia aspetta molto di più del ligio poliziotto consacrato alla legge.

Justin Timberlake sembra aver consacrato il suo impegno cinematografico; con prudenza affronta ancora ruoli molto leggeri e poco impegnati, puntando giustamente ancora sull’ impatto con il pubblico giovane e soprattutto femminile. Dimostra comunque una maturazione da attore notevole.

Amanda Seyfried riesce a stregare nel film con la sua bellezza messa in risalto da numerosi “primi piani”; ne rimane svalutato il suo personaggio che rimane troppo a lungo legato all’ idea della “figlia viziata” per poi scatenarsi eccessivamente nel finale. Il suo personaggio rimane troppo marginale e lo salva solo lei con quegli occhi stupendi.



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