Martedi, 19 marzo 2024 - ORE:03:48

The Twilight Saga: Breaking Dawn – Part 1

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Sono trascorsi oltre 40 anni da quando, in una sala buia, il pubblico vide Orson Welles fuggire, braccato dalla polizia, lungo le scure fogne di Vienna. Si trattava del capolavoro britannico di Carol Reed, “Il terzo uomo”, fino ad oggi forse la massima vetta raggiunta nella rappresentazione filmica della profondità di campo. Nel vicino 2009, immerso nel FULL HD di Dante Spinotti, Johnny Depp rapinava una banca americana. In questo caso, stiamo parlando di “Nemico pubblico” di Michael Mann: un film in cui la somma di regia e fotografia è riuscita a rendere incredibilmente vivo e credibile lo spazio.
2011. “Breakin Dawn Parte I”: il regista Bill Condon fa muovere gli insipidi personaggi portati alla gloria dai romanzi di Stephanie Meyer in vaghi luoghi bidimensionali, in cui la profondità dello spazio è azzerata in favore di una patinata estetica da spot pubblicitario.
Forse è proprio dopo aver notato questa allucinante piattezza visiva che i produttori hanno deciso di distribuire la seconda parte del film in 3D, per cercare in qualche modo di riparare.
L’inquietante regressione visiva è aggravata, durante le quasi due ore di durata del film, da gravi imprecisioni di sceneggiatura e montaggio: le scene, troppe e troppo brevi, si susseguono con stacchi netti senza lasciar sfumare le singole situazioni, con la tragica conseguenza di donare alla pellicola un’identità quasi teatrale del tutto fuori luogo in un teen-movie che dovrebbe vivere di freschezza e agilità narrativa.
La superficialità di fattura è riscontrabile persino negli effetti speciali (spesso unico pregio dei blockbuster) che, ignorando la lezione impartita dalla WETA DIGITAL di Peter Jackson con la creazione dell’immaginifico mondo de “Il signore degli anelli”, animano corpi digitali (in questo caso gli enormi licantropi tramutati) troppo puliti e “leccati” per essere credibili.
Al disastroso quadro generale si sommano anche le interpretazioni degli inetti protagonisti: bambolotti senz’anima, inermi e mono espressivi, incapaci di trasmettere il fascino e la dimensione epica che su carta vorrebbero(e dovrebbero) offrire. L’unico personaggio interessante, il licantropo Jacob, è affidato paradossalmente a Taylor Lautner, ovvero il peggiore del cast. Una mal diretta Kristen Stewart invece abita i panni di Bella, ragazza al limite dell’odiosità, le cui turbe dovute all’atteso, cronenberghiano parto sono private di una qualsiasi tensione drammatica.
Infine è impossibile non citare l’interpretazione di Robert Pattinson, disinteressato e passivo di fronte a ciò che accade davanti a lui durante l’intera durata del film, in cui fa sfoggio di un un’espressività facciale al limite del ridicolo involontario.
Se il primo film era innocentemente brutto, il secondo una ridicola operazione pubblicitaria di divismo isterico e il terzo un pessimo melodramma girato decentemente, questo penultimo capitolo della saga è un preoccupante simbolo della decadenza del cinema moderno, mai così evidente in quanto non ci si limita alla ormai abituale frivolezza contenutistica, ma si trascura in modo imperdonabile e vergognoso la tecnica. “Breaking Dawn parte I” non è quindi un semplice brutto film, ma qualcosa di gran lunga peggiore: un’offesa in piena regola, al limite dello scherno, dell’arte cinematografica e dei suoi mezzi.



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