Venerdi, 8 novembre 2024 - ORE:04:01

Roberto Faenza e l’importanza del ricordo

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Profilo di Roberto Faenza

Non fatevi ingannare dal titolo, non è un errore, ma un verso di una ballata scritta dal poeta ungherese Petofi:

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“Quanta goccia c’è nell’oceano? Quanta stella c’è nel cielo? Quanto capello
Sulla testa dell’uomo? E quanto male nel cuore?”

Purtroppo non posso vedere subito il film al cinema, ma colgo lo stesso l’occasione per tracciare un profilo di questo regista che apprezzo molto, sia a livello tecnico, sia per le tematiche che affronta di solito, e per fare delle considerazioni sul film che, a quanto pare, sembra non essere la solita commemorazione della shoah: un po’ vuota, ipocrita e piena di retorica.

Roberto Faenza è un regista molto versatile del cinema Italiano, ha sempre cercato di ritrarre la realtà senza filtri, con una grande attenzione per la psiche e l’introspettività dei suoi personaggi.

1968: “Escalation”

Dopo vari documentari, nel 1968, dirige “Escalation”, pellicola in cui, contrapponendo la figura di un padre borghese e quella del figlio hippy, lancia una grande critica nei confronti della società dei consumi.

“Forza Italia”

Dieci anni dopo è impegnato con il documentario “Forza Italia” un’altra drammatica raffigurazione della nostra situazione politica e culturale. Siamo nel 1978, un periodo ricco di conflitti, in cui le conseguenze del boom economico del dopoguerra iniziano a farsi sentire.

Il film ha subito un grande successo pubblico ma viene ritirato dalle sale in seguito al sequestro Moro, per le tematiche complicate e la durezza di alcune opinioni. Rimarrà censurato per oltre quindici anni.

Roberto Faenza, così critico nei confronti della situazione politica Italiana, poco incline a piegarsi alle richieste governative e non disposto a tacere i propri pensieri, è costretto a lavorare fuori dall’Italia.

L’ispirazione alla letteratura

Nel 1993 vince il David di Donatello come miglior regista per “Jona che visse nella balena”, film tratto dal romanzo “Anni d’infanzia”, di Jona Oberski, un memoriale sull’Olocausto.
Da questo momento Faenza continuerà ad ispirarsi alla letteratura, mostrando un’attenzione tutta particolare per l’interiorità dei personaggi e un grande rigore storico.
Nel 1995 dirige “Sostiene Pereira” con Marcello Mastroianni e solo due anni dopo “Marianna Ucria” una fedele trasposizione dell’omonimo romanzo di Dacia Maraini.

Faenza realizza un film sulla storia di Sabina Spielrein: “Prendimi L’anima”

Schermata 2014-01-17 alle 15.07.42Nel 2004 esce “Prendimi L’anima” un drammatico studio sulla vita di Sabina Spielrein, amante e paziente di Jung, da cui fu curata con il metodo di Freud, nonché una delle prime psicoanaliste russe. Essa a Mosca fondò l’asilo bianco, una scuola molto moderna per l’epoca, in cui si cercava di educare i bambini prima di tutto ad essere liberi. Il film è un chiaro esempio dell’interesse del regista per la psiche dei personaggi. Non solo ritrae in maniera molto chiara tutti i sentimenti e dolori di Sabina, le insicurezze di Jung e i tormenti della moglie di quest’ultimo, ma rende in maniera quasi perfetta, il concetto di pulsione di morte che fu elaborato proprio dallo stesso Freud. Pone importanti interrogativi, per esempio su quanto siamo disposti ad accettare l’amore e l’aiuto degli altri e soprattutto perché lo accettiamo.

Nel 2005 con “Alla luce del sole” narra la vicenda delluccisione di Don Puglisi per mano di Cosa Nostra e nel 2007 affronta la tematica della gelosia nel per niente scontato “Il caso dell’infedele Klara”.
Torna ad occuparsi di vicende storiche nel 2009, con I Viceré, da romanzo di De Roberto. Affianca il rigore storico ad una riflessione su quanto, certe tematiche politiche, si ripresentino sempre nel corso della storia.

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Silvio Forever con Rizza e Stella

Nel 2011 esce il documentario Silvio Forever, sull’ascesa e carriera politica di Silvio Berlusconi, su sceneggiatura di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. Sempre nello stesso anno è impegnato nel “Il delitto di Via Poma”, film per la tv. Un anno dopo, nel 2012, con “Un giorno questo dolore ti sarà utile”, tratto dall’omonimo romanzo di Peter Cameron (In inglese One day this pain will be useful to you), cerca di raffigurare tutti i problemi, le insicurezze e le paure di un adolescente ormai alle soglie della vita adulta.

Anita B.

Due giorni fa, il 16 gennaio, è uscito nelle sale “Anita B.” il suo ultimo lavoro, solo apparentemente un film sull’olocausto.

In realtà la pellicola cerca di andare bel oltre il ricordo dello sterminio degli ebrei, come lo ha definito lo stesso regista è un film “controcorrente”.

15vismancante01-anita-bLa storia è tratta dal romanzo di Edith Bruck.
Il racconto non si ferma alla durezza della persecuzione ebraica anzi, va oltre, si concentra soprattutto sul dopo, su quello che è successo agli ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio e in quale maniera sono riusciti a reintegrarsi nella società con tutti i loro traumi.
La scrittrice narra la vicenda di una ragazzina ungherese, Anita, sopravvissuta ad Auschwitz e accolta nella casa di alcuni parenti per ricominciare a vivere. Qui scoprirà sulla propria pelle quanto sia difficile poter parlare di quello che ha passato con qualcuno e quanto le persone non siano disposta ad ascoltarla, si imbatterà nel peggiore dei modi nelle difficoltà della vita e dovrà trovare nuovamente la forza per andare avanti.

Le parole di Faenza su Anita B.

Faenza riprende tutti questi temi e li racconta con pudore e discrezione, egli stesso ha detto, in una recente intervista:

“Quanti film sono stati realizzati sulla Shoah? Tanti. Qualcuno dice forse addirittura troppi. Io stesso ne ho realizzato uno. Ma pochissimi sono stati prodotti sul dopo, cioe’ affrontando la vita dopo la morte. Anita B. si sforza di coprire questo dopo e lo fa con l’intenzione di colmare un vuoto dovuto a molte cause. Tra queste, in primo luogo il bisogno di dimenticare.

Quando il trauma e’ troppo forte, ecco giungere in soccorso il placebo della rimozione. Anita e’ una ragazza tenera e sensibile. E’ appena adolescente quando esce da e ha conservato la voglia di lottare, nonostante l’esperienza dei campi.

Va incontro al nuovo mondo e alle peripezie che la attendono carica di energia, ma anche di ingenuita’. Nel dopoguerra di allora, tutti vogliono vivere con frenesia. Per molti pero’ vivere significa oblio: senza rendersi conto di seppellire se stessi insieme alla memoria.

Ed e’ cosi’ che Anita si trova a poter parlare del suo passato solo con un bambino di un anno. Il piccolo Roby ascolta i suoi racconti, ma non puo’ capirla. Tutti gli altri la invitano a ‘cambiare argomento’, oppure le dicono e’ passato, dimentica”.

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Un lavoro importante anche a livello personale

Il regista prosegue dicendo che quest’ultimo lavoro è stato molto importante anche a livello personale, perché gli ha permesso di riflettere su una tematica difficile come il dolore, in tutti i suoi aspetti, e su quanto spesso finiamo con il lamentarci delle nostre pene (spesso stupide e risolvibili) quando intorno a noi c’è davvero che ha vissuto e continua a vivere in un inferno.

Ho cercato di girare ‘a cuore aperto’ la storia di Anita, conclude il regista, “lasciandomi trascinare dal suo entusiasmo, dal suo candore e anche dalla sua soggettivita’. Un po’ come ho fatto con ‘Jona che visse nella balena‘, anche in questo caso ho piazzato la macchina da presa all’altezza degli occhi della protagonista, per cui tutto cio’ che ho visto non ha pretese di essere oggettivo.

Mentre lavoravo tra le montagne dell’Alto Adige e Praga, ho pensato che questa fatica (due anni per trovare i finanziamenti necessari e uno per arrivare alla copia campione) per me rappresenta il seguito di Prendimi l’anima, convinto che Sabina Spielrein avrebbe potuto amarlo.

Da qui lo spunto per una conclusione ideale, comune al tragitto di due donne coraggiose e indomite: un viaggio verso il passato con un solo bagaglio: il futuro. Che e’ la frase con cui si chiudono gli ultimi fotogrammi.

Un film che, benchè parta da una tematica storica molto drammatica, parla del ricordo e può comprendere tutti gli ambiti della nostra vita, tutte le situazioni che ci circondano.

Spesso ricordare è terapeutico, ci permette di affrontare il dolore, di andare avanti, o ricominciare daccapo, ma con la consapevolezza che quello che abbiamo passato è parte di noi e del nostro essere. Senza far cadere tutto in un inutile e dannoso oblio.



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