Sabato, 20 aprile 2024 - ORE:06:40

Il Divo: storia di un uomo solo

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“Se non puoi parlare bene di una persona, non ne parlare affatto.” Con queste parole Livia Danese, moglie dell’onorevole Giulio Andreotti, commenta le numerose critiche rivolte al marito. Sorrentino, dimostrando poca coerenza, critica molto aspramente un fin troppo fragile governo ed un Andreotti altrettanto incapace di gestire gli eventi che si abbattono su un’Italia piegata sotto il potere della mafia. Così facendo, regala al mondo uno dei film italiani più interessanti ed affascinanti degli ultimi anni. 1991. Andreotti viene eletto per la settima volta presidente del consiglio d’Italia. Il suo governo, estremamente debole ed incapace di fronteggiare i problemi che sconvolgono l’Italia, appare immediatamente agli occhi degli italiani di breve durata. Come non bastasse, una terribile tempesta giudiziaria si sta per abbattere su Andreotti. Sta per iniziare il maxi-processo per associazione mafiosa.

Sorrentino cerca di riscrivere così la storia, basandosi su fatti non appurati ma su supposizioni che tutti noi pensiamo, temiamo, ma non diciamo. La sua telecamera, stabile e decisa, si sposta rapidamente sui volti dei personaggi senza fermarsi mai troppo a lungo,velocizzando le scene e rendendole così più gradevoli agli occhi dello spettatore che altrimenti rischierebbe di annoiarsi e perdersi negli infiniti, ma decisamente ben curati, dialoghi presenti nel film. Eccellente lavoro di cast, guidato da un formidabile Toni Servillo, vincitore del David di Donatello 2009, aiutato da un trucco eccellente, nominato agli Oscar 2010.

Servillo rimane impassibile per tutta la durata del film, una maschera di ghiaccio che non si incrina neppure dopo le numerose sconfitte. Viene rappresentato come un essere quasi completamente privo di emozioni, con la politica come unico interesse nella vita. E lui è consapevole di essere la politica italiana. Ormai è lui il potere, lo è stato per molti anni e progetta di essere anche nel futuro. Simbolica la scena della prima riunione elettiva in parlamento. Tutti i deputati iniziano a litigare tra loro, perdono la calma, urlano e si offendono. E, in netto contrasto con il caos che regna sovrano non solo nel parlamento ma nell’Italia stessa, Andreotti rimane silenzioso e calmissimo: sa benissimo di essere la più potente ed autorevole figura politica italiana. Andreotti viene quindi rappresentato come un uomo solo.

Un uomo che non può e non vuole esprimere i suoi sentimenti alla moglie Livia, la quale crede di conoscerlo meglio di quanto lo conosca realmente. Già nella prima scena si evince questa caratteristica di Andreotti: un uomo da solo nell’oscurità, che lavora. Un uomo che, quando gli altri dormono, opera e, soprattutto, pensa. Nelle scene successive il personaggio di Andreotti viene presentato in solitudine, dominatore unico della scena, mentre passeggia da solo, di notte, per strada. La musica di questa scena è Pavane, una composizione funebre come a significare che l’uomo che era in lui è morto, lasciando solo un guscio privo di sentimenti. La reincarnazione del potere. Decisamente ben riuscito il monologo di Andreotti sull’uso del potere. Rivolgendosi a sua moglie, la persona a lui più cara, si confesserà a Dio, rappresentato dalla mistica luce che lo illumina per tutta la durata del discorso e che si spegnerà soltanto alla fine, lasciando l’uomo da solo coi suoi peccati. Andreotti viene così umanizzato da Sorrentino: un uomo che ha fatto tutto quello che ha fatto solo per il bene comune, un uomo che crede e serve Dio, un uomo che prova rimorso verso tutte le vittime ed, in particolare, i suoi colleghi (… Il “Caro” Aldo …).Da notare però un particolare: subito dopo le parole avere il bene, verso la fine del monologo, sembra che una scena venga tagliata. L’inquadratura cambia, il sonoro viene modificato ed un Andreotti molto più pacato e tranquillo termina il suo monologo. Ma cosa potrebbe essere stato detto in questa scena? Alla fine del film, Andreotti, accusato di associazione mafiosa, muove le sue risorse (Che non sono poche) e viene giudicato non colpevole, lasciando lo spettatore con il senso di malinconia classico di chi si rende che la giustizia non ha fatto il suo dovere. Eccellente l’utilizzo delle musiche da parte di Teho Teardo, vincitore di un David di Donatello.

Particolarmente azzeccata la canzone toop toop dei Cassius, che grazie ad il suo ritmo incalzante coinvolge lo spettatore durante i titoli di testa e riesce a tenerlo col fiato sospeso fino al momento, per quanto prevedibile, in cui iniziano gli omicidi. Il Divo è un capolavoro. Definito dalla Los Angeles Film Critics Association come uno dei migliori 10 film stranieri di inizio secolo e come uno dei 189 migliori film del decennio (unico italiano oltre a La meglio gioventù), è stato acclamato dalla critica di tutto il mondo, in particolare per la grande interpretazione di Servillo e la regia di Sorrentino. Ha riscontrato molto successo soprattutto negli USA e nella Germania, diventando uno dei migliori incassi italiani della stagione.

Il film ha ottenuto 7 David di Donatello: attore, attrice non protagonista, fotografia, musicista, truccatore, acconciatore ed effetti speciali. Inoltre Paolo Sodano è stato nominato agli Oscar 2010 per il miglior trucco.



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